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Quello che le “linee-guida” non dicono

Pubblicato il: 11/11/2009 17:41:49 -


Finalmente sono arrivate! Ecco infatti, nel caldo d’agosto, giungere le “Linee guida per l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità”. Tutto bene, direte; niente affatto! Si sarebbe potuto e dovuto dire di più… Vediamo cosa…
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Prendiamo le mosse dalla terza parte delle “Linee guida per l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità”, dal significativo titolo “La dimensione inclusiva della scuola”. Questa dedica anzitutto una particolare attenzione alle funzioni del dirigente scolastico e di tutti i docenti – curricolari e di sostegno – che intervengono nel processo educativo/formativo, ma anche del personale ATA. Nessun riferimento le “Linee guida” fanno invece ad altre figure professionali, quali gli “operatori sociali messi a disposizione dagli enti locali”, “anche con riferimento all’istruzione domiciliare” o ad “altre figure professionali e di volontariato” che pure operano in équipe secondo la logica del “modello del sistema integrato, attuato ormai da anni e divenuto prassi pressoché consolidata.

Secondariamente, nessun accenno viene fatto a tutte quelle ipotesi che pur non dando luogo a vere e proprie forme di disabilità e che quindi non potendo essere certificabili, costituiscono pur tuttavia situazioni che rendono certamente più difficile il processo di apprendimento/insegnamento: si pensi, ad esempio, alla dislessia (e simili). Sotto questo profilo, il doveroso richiamo operato nella prima parte alle regole dell’ICF e alla filosofia che ne è alla base non sembra del tutto sufficiente.

Né vengono menzionati i casi di pluriminorazioni, sempre più spesso gravissime, per i quali dovrebbe essere ripensato il sistema di integrazione scolastica loro applicato, il medesimo che viene previsto per ogni altro caso di disabilità. E qui sorge un problema a monte, quello di determinare a priori che cosa sia e che cosa non sia integrazione: è integrazione – io credo – adoperarsi per dare a coloro, persone cosiddette “disabili”, che possono realmente e obiettivamente raggiungere un qualche significativo traguardo tutte le stesse identiche possibilità che si offrono ai cosiddetti “normodotati”; non è integrazione, ma solo accanimento, voler a tutti i costi inserire in una scuola chi presenta patologie talmente gravi da non rendersi nemmeno conto della realtà che sta attorno, delle persone, anche le più care, che sono vicine, perfino del proprio essere qualcosa che in qualche modo vive… Non credo che questo sia cinismo, ma soltanto sano realismo! Diamo a ciascuno ciò che può effettivamente ricevere; a chi può prima avere e poi dare, tutti gli strumenti per poter operare; a chi purtroppo ciò non può fare, tutti gli strumenti per assicurargli la migliore qualità di vita possibile.

Ancora: una doverosa attenzione è rivolta alla figura del docente di sostegno, ma nulla viene detto sia in ordine alla necessità di riscrivere le regole della formazione e dell’accesso alla professione (al riguardo, l’attuale regolamentazione appare, a parere di chi scrive, del tutto insoddisfacente e insufficiente), sia all’importante ruolo ricoperto da altre figure tuttora prive, del tutto o in parte, di una normativa: si pensi all’educatore professionale, all’addetto alla comunicazione, al lettore/ripetitore. Per esse, la determinazione di regole e principi certi si impone con la massima urgenza.

E nemmeno viene sottolineato – come invece richiedono le più recenti teorizzazioni pedagogiche – il valore rilevantissimo dell’extrascuola. È vero che viene ribadito l’importantissimo ruolo rivestito dalla famiglia, primo nucleo artefice del processo di crescita e di formazione della persona, ma è altrettanto vero che oggi sono sempre più presenti altre agenzie educative che giocano un’importanza non da poco, specie ai fini dell’apprendimento informale. Anche di tutte dette realtà si dovrebbe tener conto nella predisposizione di quei piani educativi individualizzati e di quei percorsi di studio personalizzati che tanta importanza hanno nel processo educativo/formativo di un alunno disabile. Un generico accenno alla realtà del territorio appare, sotto questo aspetto, del tutto riduttiva.

Così come forse si sarebbe potuto dire qualcosa di più sull’indubbia importanza giocata dal mondo dell’associazionismo e del terzo settore.

Ma nemmeno molto si dice su quale potrebbe essere l’“ambiente classe” che più potrebbe consentire una reale inclusione dell’alunno in situazione di handicap: non basta dire che è il docente che deve favorire tale ambiente, né appaiono soddisfacenti le metodologie e strategie proposte. Non si parla, cioè, dell’importanza del confronto coi pari, presupposto imprescindibile sia per una armoniosa crescita individuale, sia per un’attiva socializzazione ed inserimento.

Credo che queste “Linee guida” potrebbero rappresentare un preziosissimo punto di partenza per ripensare l’attuale sistema di integrazione scolastica degli alunni con disabilità che presenta alcuni punti forti, ma anche parecchi elementi di criticità. penso che l’occasione sia più che propizia per riscrivere le regole e i principi, per adattarli alle mutate condizioni: da trent’anni a questa parte sono infatti cambiati non soltanto il mondo delle disabilità, ma anche la realtà scolastica, le forme di apprendimento/insegnamento, le dinamiche relazionali, la stessa organizzazione delle istituzioni scolastiche…

Proprio dal Documento ministeriale potrebbe prendere l’avvio un processo di riflessione globale che, passando attraverso varie fasi, prima fra tutte la redazione di un “libro bianco”, potrebbe portare a delineare un sistema più articolato, che tenga conto – come si diceva – della variegata e complessa realtà.

Lorenza Vettor

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